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Segreti di famiglia
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Segreti di famiglia

[Roma] : BIM : QMedia : 01 Distribution, 2010

نبذة مختصرة: Il diciassettenne Bernie arriva a Buenos Aires per ritrovare suo fratello, che dieci anni prima ha abbandonato New York e la famiglia deciso a non avere piu' niente a che fare con suo padre Carlo, acclamato direttore d'orchestra. Bernie trovera' il fratello che ora si fa chiamare Tetro ed e' diventato un brillante scrittore, ma malinconico e disilluso dalla vita con un carico di ricordi amari e di fantasmi del passato.

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Opera complessa e stratificata, che attrae per l’intensa fisicità degli attori immersi in un bianco e nero scabroso e, negli inserti dei flashback, avvolti in un colore saturo, volutamente pacchiano.
Opera notturna e claustrofobica, con una metropoli anonima che resta sullo sfondo, quasi non entra in scena, potrebbe essere Parigi o Milano; ma è Buenos Aires.
Opera disturbante, perché l’inconscio scorre sottopelle e non smette di velare pulsioni erotiche distruttive (come il battito sordo che fa costante capolino in diverse scene). Tra transfert e controtransfert, la psicanalisi finisce sul lettino, ma anche a letto col paziente...

Impossibile essere figli nel cono d’ombra di questi padri spropositati, che soffocano ogni spazio con la propria disumana genialità congelante. La famiglia e il sangue si disperdono, e disperdono con essi l’identità stessa, il confine della persona, la natura della relazione padre-figlio-fratello-madre.
In questo senso i personaggi incarnano con precisione l’identità liquida e ubiquitaria del primo ventennio dei duemila: la cognata diventa mamma, ma anche protagonista di una danza complice sotto sguardi rubati; la studentessa disinibita si trasforma in virago mascolina, ma anche in crocerossina e madre; la vecchietta si scopre spogliarellista, ma poi è zietta melensa e infine sconcia maitresse.
È un tripudio di maschere, fino all’apice del gran finale, pesantemente melodrammatico, ma che retrospettivamente illumina posture dei personaggi ai limiti della comprensibilità.
L’epifania finale ricompone il puzzle, ma è anche un colpo basso: arrivato ai titoli di coda ti chiedi se non convenga rivedere subito il film, per coglierne finalmente le infinite sfumature.

Tre stelle abbondanti anziché quattro perché quello che convince meno è l’ostentazione di alcuni simboli facili, il cuccio, lo amorevole chiamato Problema che sfugge dal guinzaglio mentre si rimirano le tette di un cartellone; ambientazioni che sono più che altro citazioni di generi cinematografici, come il motel della Patagonia che diventa un postribolo californiano; personaggi grezzi (se non stereotipati) come la critica letteraria più potente del sudamerica; esagerazioni della trama, come la giovane madre morta dopo un lungo coma dopo un overdose dopo la rivelazione della vita…
Sbavature, cadute di scrittura, facilonerie narrative o, in sintesi, lapsus di lucidità.

Ma pur sempre tre stelle abbondanti, per un’opera di grandissima intensità.

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