MOSTRA: Strix/Strega : nella biblioteca dell’Inquisitore: manuali e trattati per la caccia alle streghe
Biblioteca Queriniana 24 ottobre – 16 novembre 2024
STRIX / STREGA. Nella biblioteca dell’Inquisitore: manuali e trattati per la caccia alle streghe
a cura di Ennio Ferraglio
Nella biblioteca dell’Inquisitore: manuali e trattati per la caccia alle streghe.
Tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento si verificò il picco massimo raggiunto dalla caccia alle streghe; si trattò di un fenomeno transnazionale, che interessò principalmente l’Italia settentrionale, la Svizzera, la Germania, il Tirolo e la Francia nord-occidentale. Nel medesimo periodo, particolarmente incalzati dall’urgenza degli inquisitori di avere strumenti teorici e pratici a disposizione, molti teologi – soprattutto domenicani e spesso inquisitori loro stessi e con molta pratica sul campo – produssero numerosi testi con l’intento di gettare basi solide per circoscrivere i fenomeni della magia e della stregoneria, stanare gli adepti di Satana e ripristinare l’ordine sociale e religioso perturbato dalle eresie. Fu così che le grandi campagne di caccia alle streghe lanciate dagli inquisitori, incoraggiando tanto nelle autorità civili e religiose quanto nel popolo, una mobilitazione senza precedenti, consentirono di “individuare” moltitudini di streghe, in un circolo che, autoalimentandosi, favoriva la persecuzione.
La stregoneria, frutto della combinazione mortifera di tutti i peccati, proposta all’uomo da Satana in persona, considerata il flagello più micidiale che potesse colpire il genere umano, aveva la funzione opposta di esaltare il ruolo salvifico della Chiesa, baluardo contro il maligno, e la funzione, da questo di vista irrinunciabile e sostanziale, degli inquisitori.
Agli albori della Riforma, la nascita dell’Inquisizione romana, nel 1542, come strumento prioritario nella lotta alla diffusione del protestantesimo, determinò un deciso calo di interesse nei confronti dell’eresia delle streghe, almeno fino agli ultimi decenni del secolo. Contemporaneamente si sviluppò un dibattito, con alterne posizioni, tra i sostenitori della realtà del sabba e quelli che invece propendevano per l’illusorietà dello stesso, individuando in cause fisiologiche e patologiche, e nelle conseguenti alterazioni fisiche e mentali delle presunte streghe, molte esperienze di carattere soprannaturale. Se da un lato la Chiesa del Concilio di Trento poteva, finalmente, benissimo fare a meno dello zelo fanatico di molti inquisitori della prima ora, dall’altro alle streghe si iniziava lentamente a restituire, nella loro fragilità fisica ed esistenziale, la dignità di donne.
“Nei discorsi confusi si annida l’eresia”: Girolamo Visconti.
Girolamo Visconti, provinciale dei domenicani di Lombardia dal 1465 al 1478, scrisse due brevi trattati sulle streghe, Lamiarum sive striarum opusculum e Opusculum de striis, pubblicati insieme a fine secolo, nei quali condensò le esperienze di alcuni processi per stregoneria svoltisi in S. Eustorgio in quegli anni.
L’Autore, che non sembra eccessivamente preoccupato per la diffusione della stregoneria, sostenne che le pratiche ad essa relative, e soprattutto il sabba (che chiama ludus), erano possibili e del tutto reali: in ciò concorreva il sostanziale allineamento delle testimonianze rilasciate da persone diverse in tempi e luoghi diversi intorno all’abominevole cerimoniale. Le protagoniste erano mulierculae, cioè donnette del popolo, maliziosamente ingannate dal demonio ma non particolarmente pericolose, se non per il fatto che costituivano una secta heretica.
Girolamo Visconti,
Lamiarum sive striarum opusculum; Opusculum de striis, Milano, Leonhard Pachel, 13 IX 1490 Inc. B.VI.23].
“L’eretico, anche se pentito, deve essere ucciso”: il Malleus maleficarum.
Nel Malleus maleficarum (“Martello delle streghe”), la cui pubblicazione ad opera degli inquisitori Heinrich Kramer e Jakob Sprenger, chiude la fase pionieristica precedente della caccia alle streghe ed apre una fase nuova, viene descritto il commercio con il maligno: dal rapporto in qualche misura “privato” a quello “pubblico”, rappresentato iconicamente dal sabba e dal cerimoniale conseguente. Diviso in tre parti, il trattato, «utilis ac necessarius» per gli inquisitori, affronta tematiche come i demoni e i loro poteri, la natura della stregoneria e il ruolo delle donne, ritenute maggiormente esposte all’azione del demonio; fornisce anche indicazioni procedurali relativamente alla cattura, detenzione, tortura, processo, proclamazione della sentenza ed eliminazione delle streghe.
Secondo gli autori, «Utrum asserere maleficos esse sit adeo catholicum, quod eius oppositum pertinaciter defendere omnino sit hereticum», ovvero: «Si dimostra che affermare che gli stregoni esistono è una proposizione così cattolica, che sostenere ostinatamente il contrario è del tutto eretico». Inoltre, era sufficiente la diceria pubblica per condurre una persona a processo, mentre una difesa argomentata e vigorosa da parte dell’avvocato sarebbe stata indizio che anche il difensore stesso era stato stregato; infine che i giudici, in quanto rappresentanti di Dio, sarebbero immuni dal maleficio ed esenti da colpa.
Il Malleus, che ambisce ad essere un testo completo e autosufficiente per la caccia alle streghe, è molto più ampio dei tradizionali manuali per gli inquisitori. Nelle sue pagine emerge nettamente la differenza di genere tra eresia maschile ed eresia femminile: nel primo caso l’eresia è soprattutto intellettuale, mentre nel secondo caso è dovuta all’asservimento fisico, sessuale, delle donne nei confronti del demonio.
Heinrich Kramer - Jakob Sprenger,
Malleus maleficarum, Venezia, Giovanni Antonio Bertano, 1576 [10a A.VI.9].
Francesco Bruni,
Tractatus de indiciis et tortura, Lione, Guillaume Rouillé, 1547 [Salone F.IX.12].
Paolo Grillandi,
Tractatus de haereticis et sortilegiis. Item de quaestionibus et tortura, Lione, Jacopo Giunta, 1547 [10a A.VI.8].
“La volontà ingannata persevera nel peccato”: Rémy e Guazzo.
Nicolas Rémy (Nicolaus Remigius) è noto per avere condannato a morte, durante la sua carriera di inquisitore, circa un migliaio di persone condannate per stregoneria. Questa “esperienza” sul campo lo spinse a raccogliere in un trattato su demoni, streghe e stregoni tutta la casistica possibile in tema di sortilegi e malefici contro persone, animali e raccolti.
Considerato uno dei più autorevoli manuali di demonologia, il Compendium maleficarum del Guazzo venne scritto utilizzando casi di processi reali, affrontati da egli stesso e da Nicolas Rémy. Il trattato contiene descrizioni minuziose di patti con il diavolo e resoconti su streghe, poteri malefici e veleni mortali.
Nicolas Rémy,
Daemonolatreiae libri tres ex iudiciis capitalibus nongentorum plus minus hominum, qui sortilegii crimen intra annos quidecim in Lotharingia capite luerunt, Lione, F. Vincent, 1595 [1a F.V.13].
Francesco Maria Guazzo,
Compendium maleficarum, ex quo nefandissima in genus humanum opera venefica ac ad illa vitanda remedia conspiciuntur, Milano, Collegio Ambrosiano, 1626 [10a R.VII.16].
“…ha determinato et sententiato siano vive al foco messe et abruzate, et ita factum est”: streghe in Valcamonica.
Fin dagli inizi del secolo, alcune voci, come quella di Elia Capriolo, uomo di lettere ma anche pretore e podestà, si levarono contro la caccia alle streghe e, soprattutto, contro la brutalità inaudita con cui venivano trattate le donne accusate di stregoneria. In un breve testo, uscito forse nel 1506, dal titolo Defensio populi Brixiani, e colocato all’interno di un contrasto insorto tra i Domenicani e il Consiglio cittadino, il Capriolo acusò senza mezzi termini gli inquisitori di aver costretto, con torture particolarmente efferate, alcune montanare camune a confessare di essere delle streghe.
Quando la caccia alle streghe in Valcamonica raggiunse il culmine, negli anni 1518-1521, vi furono reazioni negative da parte dei rettori veneti. Il castellano di Breno, Marco Miani, manifestò molti dubbi sui processi ai quali aveva assistito, sia per la modalità con cui erano stati condotti, sia sul valore delle testimonianze e delle confessioni, che gli parevano inverosimili e frutto solo di suggestioni. Anche gli abusi compiuti a Pisogne dal vicario dell’inquisitore, Bernardino de Grossi, il quale, invasato dal fanatismo religioso, aveva torturato orribilmente alcune povere donne, ottenendo la confessione di crimini così enormi da essere irreali, vennero segnalati al podestà di Brescia.
L’eco della brutalità dei processi in Valcamonica e i racconti dei sabba sul Tonale giunse presto a Venezia, dove il Consiglio dei Dieci guidato da Luca Tron, dichiarò apertamente essere materìe (cioè follie) tutti i racconti che emergevano dall’attività inquisitoria, e che le presunte streghe è morti martiri (I diarii, XXX, col. 13). Nel 1521 la Repubblica di Venezia impose al vescovo di Brescia la fine dei processi per stregoneria nel territorio della diocesi.
Marino Sanudo,
Lettera di Carlo Miani, castellano di Breno, a Marino Giorgi, 24 giugno 1518, in M. Sanudo, I diarii, Venezia 1889, t. XXV, coll. 545-548; Letera in materia di le strige di Valcamonica, agosto 1518, coll. 586-588 [1.B.26].
“Riferirò ciò che ho visto con i miei occhi”: Giovanni Battista Della Porta.
Nel cap. XXVI del libro II della Magia naturalis, uno dei libri più diffusi del XVI secolo attorno al quale si sviluppò un acceso dibattito che spaziava dalla teologia alla filosofia, dalla magia alla scienza, il Della Porta, che pure aveva fama di mago e negromante, raccontò incautamente, in un paragrafo intitolato Lamiarum unguenta, un episodio autobiografico, ovvero di quando riuscì ad ottenere da una strega una dimostrazione pratica dei suoi “poteri”: dopo che la donna si fu cosparsa di un unguento magico da lei stessa preparato (con una ricetta a base di grasso di neonato, sangue di pipistrello ed erbe aromatiche), si chiuse in una stanza ordinando di osservare da uno spiraglio. La donna cadde in un sonno profondo, prolungato, insensibile alle bastonate che le venivano inflitte e, quando si risvegliò, iniziò a fare discorsi sconnessi e deliranti e a raccontare di avere sorvolato mari e monti. Il Della Porta, interessato agli effetti provocati dall’assunzione di alimenti in grado di provocare uno stato onirico e allucinato, come già Cardano fu un assertore delle cause naturali di molti dei fenomeni inspiegabili, riconducendo lo straordinario dall’ambito della superstizione a quello del sapere scientifico.
Dalle edizioni a partire dal 1589, per effetto della censura scomparve ogni accenno all’unguento delle streghe, che tuttavia venne ripreso da numerosi autori in tutta Europa. Vi fu anche chi, come Reginald Scott, autore nel 1584 del libro The discoverie of Witchcraft, ironizzò sul fatto che, forse, lo stesso Della Porta era stato raggirato da una vecchia strega che lo aveva, per arti magiche, costretto a credere e a rivelare l’incredibile storia.
Giovanni Battista Della Porta,
Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV, Anversa, Christopher Palntin, 1560 [10a S.VI.22].
Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri XX, Napoli, Orazio Salviani, 1588 [10a R.III.18].
Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri viginti, Francoforte, Samuel Hempelius, 1607 [10a S.VI.23].
“Pare a me di haver ritrovato la verità”: Gianfrancesco Pico della Mirandola.
Gianfrancesco Pico della Mirandola (1469-1533) fu un esponente autorevole della linea interpretativa dei fenomeni legati alla stregoneria, non razionalmente spiegabili, come dovuti all’influsso di spiriti e demoni. Nel trattato Strix sive de ludificatione daemonum, pubblicato nel 1523 in forma di dialogo, egli sostenne che i voli notturni delle streghe e gli incontri con il diavolo avvenivano realmente e che i malefici erano dovuti ad un reale e concreto intervento diabolico. Il trattato Stryx era la risposta alla corrente di pensiero, sostenuta da Pietro Pomponazzi nel trattato, messo in circolazione clandestinamente nel 1520, De incantationibus, nel quale, escludendo i demoni dal mondo fisico e riconducendo i fenomeni ritenuti soprannaturali a cause puramente fisiche, tendeva a negare la stregoneria.
Lo stesso Strix era la risposta a coloro che si opponevano alla sanguinosa caccia alle streghe dei primi anni Venti del secolo, che aveva portato a processo e messa a morte di centinaia di presunte streghe. Il libro, con un accuratissimo fondamento bibliografico e di pensiero, si rivolgeva alla classe medio-alta, cioè al ceto dominante degli Stati italiani, tiepido, restio o del tutto contrario a quanto stava accadendo in materia di lotta alle eresie e degli abusi perpetrati.
Scritto in latino, il testo venne rapidamente tradotto in volgare dal domenicano bolognese Leandro Alberti, con l’intento di favorirne la diffusione anche presso coloro che non si occupavano professionalmente di lotta alla stregoneria e all’eresia, come inquisitori, magistrati e avvocati, bensì ad un più generale pubblico letterato ma non conoscitore del latino: in tal modo divenne il primo testo sulla stregoneria ad essere pubblicato in italiano.
Gianfrancesco Pico della Mirandola,
Strix sive de ludificatione daemonum, Bologna, Girolamo Benedetti, 1523 [5a H.V.21m4].
Libro detto Strega o delle illusioni del demonio, [trad. di Leandro Alberti], Bologna, Girolamo Benedetti, 1524 [5a H.V.21m3].
“Tutto dimostra che soffrono della malattia della bile nera”: Girolamo Cardano.
Girolamo Cardano (1501-1576) nel trattato De rerum varietate del 1557, ed in particolare nel cap. LXXX, dal titolo Striges seu lamiae et fascinationes, fu autore, nella doppia veste di filosofo e di medico, di una profonda riflessione sul tema della stregoneria e della natura delle presunte streghe. Egli, criticando le credenze popolari su questo tema, sostenne la necessità dell’indagine accurata delle cause nascoste dei fenomeni attribuiti all’azione delle streghe, per riportare in un’ottica naturale ciò che veniva indebitamente attribuito all’intervento soprannaturale del demonio. Intervenendo nel dibatto, molto acceso nella sua epoca, sulle streghe, Cardano ridimensionò ampiamente le lammie al ruolo di mulierculae, cioè donne affette – secondo i principi della teoria di Galeno relativamente allo squilibrio umorale – dalla bile nera; in fin dei conti, semplicemente malate:
«Per prima cosa, bisogna soffermarsi su questo tipo di persone che chiamiamo lammie (dette anche volgarmente streghe, nome ricavato, credo, dall’uccello notturno e infausto [*ndt: la civetta, in latino stryx]). Si tratta di donnette dalla corporatura esile, mendicanti, miserrime; nelle valli si nutrono esclusivamente di castagne e di erbe selvatiche e, se non bevessero anche un po’ di latte, non potrebbero assolutamente mantenersi in vita. Sono macilente, brutte, con gli occhi sporgenti, pallide e dal colorito scuro, piene di bile nera e melanconia. Sono taciturne, con la mente malferma e differiscono di poco da coloro che vengono ritenuti indemoniati; sono ostinate nelle loro opinioni, e sono a tal punto ferme che, se solo si prestasse ascolto alle loro parole, e con quale forza e costanza sostengono cose che non sono mai avvenute né mai potranno avvenire, esse potrebbero addirittura convincerci che siano vere. Non c’è da meravigliarsi che coloro che non sono pratici di filosofia ne siano ingannati. Tutto dimostra che soffrono della malattia della bile nera: il tipo di alimentazione, la qualità dell’aria, la forma e l’aspetto del volto e del corpo, le parole stesse che, pronunciate con un aspetto torvo, sono piene di follia e, per così dire, di evidente impossibilità» (De rer. var., p. 570).
L’autoalimentarsi delle dicerie e l’indulgere in elementi favolistici nelle narrazioni anche da parte di presunti testimoni oculari, avevano spesso finito per trascinare a processo – e non di rado a condannare – uomini e donne innocenti, vittime di racconti e di accuse falsi:
«Durante i processi, nelle loro dichiarazioni non emerge nulla che non sia vuoto, inconsistente, falso e di nessuna importanza, tranne il disprezzo per la religione: alcune spregiano apertamente Cristo, altre trafugano le particole nascondendole nelle vesti, altre ancora oltraggiano le immagini sacre. Pertanto non vi è nessuno che non ritenga degne di essere messe a morte queste donne eretiche, adoratrici del demonio, empie e omicide».
Per Cardano, invece, le donne accusate di essere streghe non erano realmente seguaci del demonio, bensì donne il cui equilibrio psico-fisico era stato alterato dall’isolamento (volontario o per emarginazione sociale), dall’alimentazione insufficiente e squilibrata, dall’aria pestilente e dall’eccesso di bile nera nel loro corpo, che provocherebbe, tra l’altro, un cattivo funzionamento dei meccanismi dell’immaginazione, la generazione di visioni fallaci e illusorie, nonché, oltre alla mera autosuggestione di avere causato malattie e disgrazie per effetto di arti magiche, anche stati di allucinazione talmente profondi da far ritenere vere cose solamente immaginate, come gli incontri con il demonio e i baccanali notturni.
Ciò che stupiva l’autore non era tanto che gli incolti, sempliciotti e privi di acume, venissero ingannati dai discorsi farneticanti delle presunte streghe, ma che uomini di cultura ed intellettuali, chiamando in causa interventi soprannaturali per spiegare fatti altrimenti inspiegabili, vi prestassero ascolto invece che indagare le cause naturali alla base dei fenomeni: il riferimento indiretto era a Gianfrancesco Pico della Mirandola, autore nel 1523 del trattato dal titolo Stryx, nel quale aveva sostenuto la concretezza delle macchinazioni diaboliche e che i voli notturni e gli incontri tra le streghe e il demonio fossero del tutto reali e comprovati.
Girolamo Cardano,
De rerum varietate, Basilea, Heinrich Petri, 1557 [10a R.III.7].
De subtilitate, Norimberga, Johann Petreius, 1550 [10a R.III.8].
“Qualsiasi altra pena ad arbitrio del giudice, non tuttavia la pena capitale”: Johann Wier.
Johann Wier (1515-1588), allievo di Cornelio Agrippa di Nettesheim, autore del trattato De occulta philosophia, uomo di scienza ma anche fervido credente, sostiene che sia impossibile modificare volontariamente l’opera della natura, quindi respinge l’idea stessa della magia, ritenendone anzi ridicolo lo stesso crederci. Crede però all’esistenza del demonio e alla sua influenza sulle azioni umane.
Per Wier le streghe non erano altro che donnette ignoranti, illetterate e stupide, dalla fervida e fallace immaginazione, corrotte dal demonio che le costringe a confessare, anche sotto tortura, cose che mai avrebbero potuto realizzare, in quanto le leggi della natura non lo permettono. L’influenza demoniaca si esplicherebbe, dunque, solo su soggetti predisposti alle alterazioni fisiche o mentali in quanto deboli o, come diremmo oggi, fragili.
Wier mise in luce l’incoerenza delle confessioni strappate sotto tortura e relative ai voli delle streghe e alle modalità del patto con il demonio, tutto accuratamente dettagliato nel Malleus maleficarum di Kramer e Sprenger. Le confessioni sarebbero sì sincere, ma non relative a fatti realmente accaduti, bensì a stati allucinatori indotti dal demonio: ciò spiegherebbe perché i fatti confessati avvengano solitamente di notte (ovvero mentre si sogna), oppure di giorno ma solo con persone già affette da alterazioni mentali e allucinazioni:
«Ottenuta, con il consenso di Dio, la facoltà di generare tali immagini e di imprimerle in esseri viventi, il diavolo, mediante queste forme fa vedere apparenze fittizie […] e quelle sensazioni rimangono impresse in loro con la forza della realtà. Ed è per questo che cose del genere si verificano solo di notte, perché si verificano durante il sogno; mentre di giorno non accadono se non a persone affette da morbo melanconico, che soffrono di allucinazioni anche nella veglia» (De praest. daem., 1577, p. 262 b).
In sostanza, per Wier, le presunte streghe erano donne che avevano bisogno di cure mediche, e non di essere uccise. Inoltre, dal punto di vista giuridico, il patto tra strega e demonio doveva essere considerato nullo, in quanto una delle due parti – quella debole e malata – era evidentemente incapace di intendere e di volere.
Wier fu molto critico nei confronti dei metodi inquisitoriali, che riuscivano ad estorcere confessioni di delitti inauditi e spesso non riscontrabili in natura. Con grande modernità e lungimiranza, propose invece un’alternativa moderna e lungimirante e del tutto controcorrente: qualora l’imputata di stregoneria avesse dato prove di pentimento e di fede in Cristo, e se fosse stato nelle sue possibilità, di commutare il patibolo in una pena pecuniaria in aiuto dei poveri, «o qualsiasi altra pena ad arbitrio del giudice, non tuttavia la pena capitale».
Johann Wier,
De praestigiis daemonum et incantationibus ac veneficiis libri V, Basilea, Johannes Oporinus, 1564 [10a I.V.16].
De praestigiis daemonum et incantationibus ac veneficiis libri sex. Accessit liber apologeticus et Pseudomonarchia daemonum, Basilea, Officina Oporiniana, 1577 [10a I.III.33].